lunedì 29 giugno 2015

C'è persino L'App!

"
Dopo tante fatiche
finalmente
qui riposa


Gli amici ed i parenti
rassegnati senza indugio
salutano allegramente
la persona amata
deceduta alla tenera età
di 67 anni
PER
essere scivolata sulla tomba del suo peggior nemico, dopo aver fatto con troppa foga il gesto dell'ombrello.

Qui c'è il link, e ci hanno tenuto a inserire un avviso:
"Attenzione: qualora non l'avessi capito, questo è soltanto un gioco."

Vive la vie! :) 

giovedì 6 novembre 2014

Alcune persone conoscono esattamente il giorno, l'ora e persino la modalità della propria morte. Perché li scelgono. Perché in caso di malattie degenerative, alcuni paesi (civili, secondo me) consentono a chi lo vuole di fare una scelta difficile. E coraggiosa.
Chissà come si sentono quelle persone il mese, la settimana, il giorno prima della data che loro stesse hanno scelto. Chissà se vorrebbero prendersi più tempo, darsi ancora una chance. Chissà cosa pensano.
A loro dedico un pensiero da questo blog nato per gioco, che dopo anni dalla sua creazione ha trovato un riscontro nella realtà.

lunedì 14 novembre 2011

se sapessi

Se sapessi quanto mi resta non perderei il mio tempo qui.
È il dubbio che mi fotte.

giovedì 21 aprile 2011

Before I die (I want to)


Candy Chang turned the side of an abandoned house in his neighborhood into a giant chalkboard where residents can write on the wall and remember what is important to them in life.



giovedì 17 luglio 2008

Qui pro quod

Giornata piovosa.
Odio i martedì.
Soprattutto quelli in cui piove.

E quando piove le strade sono un inferno, ogni singolo essere umano passa correndo in mezzo alla strada, convinto di cercare la redenzione camminando sul filo della lama.
Ci si potrebbe chiedere quanto di rischioso ci sia in una strada di cui si vede il termine.

In realtà non c’è nulla di pericoloso,
è solo un gioco,
si finge che sia pericoloso,
si finge di rischiare.

La mancanza di caso.

Mi colpisce subito, come se la stessi cercando, tra il traffico.
Una stupenda ragazza di circa 30 anni si sporge sulla strada, guardandomi negli occhi.
Mi implora di fermarmi, con un cenno di mano sembra voler fermare il corso del mondo, congelarlo.
Mi accosto e la faccio accomodare sul sedile di dietro, lei si affretta ad entrare, a ripararsi dalla pioggia nel tepore del mio taxi.

“La ringrazio di essersi fermato…”,
Mi guarda per un secondo, e poi si sistema il vestito di Gucci bagnato che prende la forma dei sedili in pelle.
“Erano venti minuti che aspettavo un taxi, stavo cominciando a prendere tutte le speranze, a pensare che non fosse destino.”
Uno sguardo ammiccante e la forza di gravità fa calare il suo sguardo fino ai piedi.

“Può portarmi a via Alibrandini 17?”
Osserva preoccupata le condizioni del traffico.
“Dovrei stare lì per… “, si guarda l’orologio, lo scuote un po’ come per risvegliarlo e torna a guardarlo
“… possiamo farcela in 15 minuti?”

“Certo signorina. “
Guardo per tre secondi e quarantacinque decimi il trova strade. La quantità di traffico non è eccessiva, se passo per la parallela 12 e taglio in qualche traversa.
“Quindici minuti è l’ideale. “

Cominciamo a scorrere velocemente il paesaggio nei finestrini, come in quei vecchi film, macchina ferma e sfondo scorrevole. Lei non parla. Sembra abbastanza indaffarata a cercare qualcosa di infinitamente piccolo nelle punte dei suoi capelli argentati. Una bella tonalità d’argento. Come se brillasse per attirare il baricentro del mondo.

Passiamo un centro commerciale, persone in lotta per comprare l’ultima novità tecnologia, in cerca di una via di fuga per la noia. Atlante che lotta contro il peso. Un peso da cui non può liberarsi. Un peso che dovrà sostenere e spingere via per tutta la sua esistenza o venirne schiacciato.

La guardo dallo specchietto, i nostri sguardi si incontrano.
“Sta andando all’ambasciata eurasiatica?”

Ci sono due cose che non sopporto. Una è me stesso, l’altra è lo sguardo sfuggente di chi ti guarda e appena parli non ti guarda più. Lei volta lo sguardo verso l’esterno e sembra pensare a cosa dire.
“Si, esatto. Devo raccogliere dei documenti per lavoro. Ho lavorato lì per due anni, spero possano darmi delle referenze, anche se sono stata licenziata.”

La guardo perplesso. Pensavo che la parola licenziata fosse stata eliminata dal vocabolario. Non la sentivo più da molti anni.

“Non capita spesso di sentire di qualcuno che viene licenziato. Cosa può aver mai fatto per essere cacciata via dall’ambasciata?”
Le porgo questa domanda con un leggero sorriso, come a voler minimizzare l’impatto devastante che deve aver avuto sulla sua vita. Licenziata in un mondo che non licenzia.

Lei ricambia per due secondi lo sguardo, poi riprende a giocare con i suoi capelli. Il dito mignolo della mano sinistra prende a tremare. Non risponde.

Poi mi viene in mente. Come ho fatto a non pensarci prima? Evidentemente, la sua data di scadenza deve essere vicina. Presto farà posto ad altro latte nel frigorifero nel mondo. Qualcosa che scada, ma non così presto.

Non la guardo e mi concentro a schivare un Van che fa retromarcia in contromano, come schivo i pensieri mentre parlo.
“Quanto le manca?”

Lei mi guarda inorridita. Come se le avessi chiesto non troppo gentilmente di scoparmi in un vicolo sporco e buio, in compagnia di tredici miei amici ubriachi.
“Non credo di volerglielo dire. “

Minuti di silenzi e l’immobilità sonora dentro al taxi stride con il caos che si propaga al di fuori del mio vascello di metallo e bulloni e. Aspetto fiducioso e ottimista una metropolitana che non arriva. Dopo un po’ mi stanco e prendo l’autobus.

“La capisco. Davvero. Mia figlia si è suicidata dopo essere stata licenziata. Si è tagliata le vene nel bagno del suo appartamento scrivendo sulla parete la data del giorno in cui è morta, la data della sua morte. E’ incredibile quanta rilevanza hanno delle futili informazioni a cui, in particolari situazioni, non diamo alcun peso. “

“Lavorava da Inn, ha presente? La libreria in centro. Oggi fanno delle librerie così grandi e così poco fornite… immagino che poche persone abbiano ancora il tempo di leggere, di prendere un oggetto fatto di carta e cartone e pelle e sfogliare in maniera quasi clandestina ogni parola, accarezzarne ogni significato, ogni veicolo, ogni tramonto. “

“Un giorno, mi chiama nel cuore della notte, io stavo dormendo e ho sussultato nel momento in cui ha squillato il telefono. La sua voce era strana, non l’avevo mai sentita così. Sembrava distante mille miglia da stessa. Il suono, la rendeva strana. Era come se echeggiasse dentro l’auscultatore. Era come se ne uscissero lacrime, sospiri e lamenti. Mi ha detto che stava per morire. E’ incredibile quanto, anche se sappiamo dalla nascita quando moriremo, l’impatto allo scadere del tempo possa essere tremendo. Non ci abitueremo mai a dover morire. Tanto meno a dover morire sapendo quando. “

“Mi ricordo che aggiunse di essere stata licenziata. Che non le avevano rinnovato il contratto per mancanza di tempo. Non il tempo dell’azienda. Il suo.”

Fuori la pioggia aveva cominciato a battere in maniera ritmica una sinfonia di Von Gutervon, quasi avessimo attivato il programma meteorologico. La ragazza mi guardava, cupa, senza parlare.

Distolgo lo sguardo dal suo sguardo. Torno alla strada. Rimango in silenzio. Ora è il suo turno di parlare, ho sempre odiato i monologhi in stile.

“Mi restano venti giorni. “
Subito rialzo lo sguardo per ritrovarla già abbassata. Il suo vestito si è asciugato ormai, o per lo meno sembra più asciutto. Non posso fare a meno di provare un po’ di dispiacere per lei, un po’ di senso di colpa.

Scandito da silenzi e frasi mancate, arrivo a destinazione, rallento e mi volto verso di lei.

“La corsa la offro io, signorina. “
Lei alza lo sguardo per capire se scherzo, ma non scherzo.
“E prenda questo. “
Le passo il mio ombrello. Lei lo prende con gentilezza e senza parlare. Si chiude bene la giacca, e uscendo mi ringrazia.

In realtà sono io che ringrazio lei, signorina.

Scende, e riparto. Ho finito il turno di lavoro per oggi.
Prendo il telefono, compongo il numero e aspetto che rispondano dall’altra parte.

“Si, salve sono io.”
“Certo, non c’è stato nessun problema.”

Fuori un uomo si affaccia al vetrino per chiedermi se sono in servizio. Mi volto dall’altra parte e faccio volutamente finta di niente.

“Le restano venti giorni…”
“…direi che è un acquisto a perdere.”

L’unica cosa che fa più schifo della vita è quello che noi decidiamo di farne.